Le influenze stilistiche: come prendere segni di altri?

7 Novembre, 2017

C’è un modo di impossessarsi di segni stilistici di altri artisti che è sano, e necessario, perché rielabora idee e segni di altri artisti in un discorso nuovo e personale, e un altro che ferisce gli illustratori, che si sentono defraudati dello sforzo creativo di aver coniato uno stile proprio, sufficientemente autonomo dalle influenze che li hanno nutriti. Oltre che defraudati di un mercato.
Il confine tra questi due modi non è quantificabile: lo stile è un mix di elementi complesso, dove segni precisi (tipo di linea, forme, prospettive…) si mescolano a un quind indefinibile che è la sensibilità dell’artista.
E poi ci sono le mode, le correnti stilistiche. Se un giovane presenta un’illustrazione troppo fuori coro dalle correnti del momento, rischia di venir rifiutato. Come muoversi, come scegliere con che segni illustrare un libro, in questo terreno difficile?

Ho partecipato a diverse giurie di concorsi. Le imitazioni di Beatrice Alemagna, Simone Rea, Chiara Carrer, Laura Carlin, Rebecca Dautremer, Anna Laura Cantone, Lorenzo Mattotti, Ponzi, Gottardo, tra gli altri, sono sempre tante.
A volte le illustrazioni non passano la tappa di un concorso, a volte vengono premiate, a volte persino pubblicate in un libro.

A volte gli illustratori copiati ne soffrono, altre, no.
Il diverbio sulle influenze stilistiche e la loro misura accompagna tutta la storia dell’illustrazione.
Come fanno i giovani illustratori a orientarsi? A capire quanto e come possono prendere in prestito segni stilistici di colleghi più affermati? E che responsabilità hanno gli editori nel guidarli verso uno stile più o meno personale?

Un caso simpatico è quello di Mélanie Rutten, allieva di Kitty Crowther, che ha preso molto dello stile Crowther, ma con la sua approvazione. In effetti, anche se molte trovate sono in comune, è difficile confonderle.

Kitty Crowther
Mélanie Rutten

Prendiamo l’esempio di Beatrice Alemagna, una delle illustratrici che, a mio avviso, ha portato sul mercato il maggior numero di segni riconoscibili.

Beatrice Alemagna, Gisèle de verre, Seuil jeunesse, 2002

Il suo stile è veloce, fresco, spontaneo, fatto di trovate stilistiche molto precise e forse per questo apparentemente facili da imitare. Il modo di disegnare le dita delle mani, con le unghie tonde; il nasino all’insù con le narici ben marcate; la linea nera interna degli alberi, appoggiata su una forma di collage ritagliata; i tombini parigini; un certo tratteggio fitto, spesso non finito; le nuvole a collage, piatte e lisce; i tetti spioventi delle case; i ritagli fotografici… Tutti abbiamo studiato Beatrice Alemagna.
È un passaggio obbligato.

I suoi tratti inconfondibili sono stati copiati da tanti giovani illustratori alle prime armi, ma anche professionisti contemporanei, con uno stile già proprio e maturo  hanno preso a prestito qualche suo elemento.
Così come la Alemagna, a sua volta, ha costruito il suo stile con tasselli di altri (Matisse, Picasso, Saul Steinberg, i collage dadaisti, Étienne Delessert, Tomi Ungerer).
Perché i grandi illustratori possono “copiare” e i giovani illustratori, invece, se copiano si fanno tirare le orecchie?
Facciamo un passo indietro, cerchiamo di capire se e come si può “copiare”.

Catarina Sobral, Achimpa, Orfeu Negro, 2012
Dettaglio di una pagina di Jo singe garçon, Beatrice Alamegna, Autrement, 2010

Siamo tutti d’accordo che un brano musicale, un testo, un quadro, non si possono copiare a meno che il loro autore non sia morto da tot anni.
Perché? È semplice. Copiare si deve (se no ritorneremmo ogni volta ai graffiti nelle grotte), ma copiare un vivo rischia di togliergli mercato.
Il diritto d’autore esiste per permettere all’autore di vivere del suo lavoro.
È stato inventato quando papati e Stati hanno smesso di sovvenzionare gli artisti.
Ma cosa succede quando ad essere copiato non è il disegno ma un certo stile? Cosa è il plagio di uno stile? Di che materia impalpabile è fatto lo stile?
Lavorando alla stesura del Manuale dell’illustratore, al capitolo Diritti d’autore, ho scoperto una cosa che mi ha colpito.
Lo stile non è coperto dal diritto d’autore!
“La Convenzione di Berna – un accordo internazionale che a partire dal 1886  ha stabilito il riconoscimento reciproco del diritto d’autore tra le nazioni aderenti -, ha deciso che ostacolare la libera diffusione dello stile sarebbe stato un rischio troppo alto per la libertà della ricerca artistica.

Infatti, pensate a cosa sarebbe stata la Storia dell’arte se non si fosse potuto copiare lo stile dei maestri.
Non si può creare nulla senza usare il patrimonio di stili, di tecniche e di idee che ci circondano e ci hanno preceduto.
Questa verità, però, non porta alla diretta conseguenza che si possa copiare a piacimento.
Perché un’opera possa rientrare sotto la giurisdizione del diritto d’autore, deve portare al mondo qualcosa di nuovo, di originale.
Se non lo porta, non si può neppure parlare di opera”, scrivevo nel Manuale.
Questo in occidente, nella nostra attuale giurisdizione.
In altre epoche, in altre regioni della terra, la copia dello stile poteva essere persino incoraggiata.
Nella pittura cinese tradizionale, ad esempio, si imparava a disegnare gli oggetti con uno stile preciso e non si poteva sgarrare. I tratti stilistici nuovi erano così minimi che è impossibile, per un occidentale, capire le differenze tra artisti della stessa epoca.

Dong Qichang (Cina, 1555–1636)
Lan Ying (Cina, 1585 – 1664)

Il discorso sullo stile è ampio e inesauribile, definisce i paradigmi culturali di una società e viene definito, a sua volta, da essi.
Fino a qualche anno fa, un giovane illustratore che copiava pedissequamente lo stile di altri non andava più lontano di qualche distratta case editrice.
Oggi, complice la globalizzazione, complici i social, o l’esplosione del mercato dell’editoria per ragazzi, si sta facendo strada una sensibilità diversa rispetto alle influenze dello stile. Illustratori con stili molto simili possono trovare il loro posto riconosciuto nel mercato (pensiamo a Gottardo e Ponzi).
Quando partecipai alla giuria del premio SM, di 30.000 euro, discutemmo tanto se Maisie Shearring, giovane artista che poi scegliemmo, era troppo simile a Laura Carlin o no. Ne avevo parlato in questo post qui. Ebbene, era simile, ma raccontava cose diverse. E vinse.

Maisie Shearring, inedito
Laura Carlin, The promise, Walker Books 2013

Si può prendere a prestito qualche elemento, ma per rimodellarlo e inserirlo in una nuova geografia, in un nuovo sentimento, in un nuovo messaggio.

Uno stile è fatto di tanti elementi. Per disegnare un volto, ad esempio, bisogna trovare una soluzione stilistica per il naso, la bocca, gli occhi, la linea esteriore (c’è, non c’è?), il colore, la presenza o meno di chiaro scuro o macchie per le guance. Da un altro illustratore potete prendere, magari, uno o due elementi, e inventare gli altri.
È uno studio faticoso, lungo e frustrante e tutti i grandi illustratori lo sanno.

Schizzi preparatori di Il meraviglioso Ciccia Pelliccia, Beatrice Alemagna, Topipittori

Quello che mi interesserebbe tantissimo capire ed esplorare è questo:
Cosa è quel quid che fa di un’illustrazione disegnata come disegnerebbe un bambino, cioè un po’ maldestramente, un disegno efficace, e di un’altra, disegnata quasi identicamente, un disegno debole?
La deformazione anatomica ha regole misteriose ma precise. Deformando una testa, le braccia, i piedi, le mani di un personaggio, si può andare verso la caricatura (Anna Laura Cantone, ad esempio), oppure verso una deformazione di sapore onirico e/o poetico (Beatrice Alemagna, Joanna Concejo, Ofra Amit), oppure, ancora, verso un disegno semplicemente debole.

Da circa un paio d’anni sto cercando di capire cosa e dove si può deformare per andare in una direzione o l’altra, per poi  poterlo spiegare ai miei allievi. Non è facile. Sono arrivata alla conclusione che, sia per la caricatura, sia per la deformazione onirico-poetica, alcuni snodi anatomici vadano mantenuti realistici.

Il braccio della bambina di Beatrice Alemagna, ad esempio, anche se deformato (sottilissimo, mano piccola, etc) si piega là dove dovrebbe esserci il gomito, e questo permette (forse) ai mei neuroni specchio di riconoscerla come umana.

Beatrice Alemagna, dettaglio di Lotte Combinaguai

Penso anche che il fatto di aver maturato un proprio stile con fatica, porta l’illustratore a sentirsi più sicuro al momento di disegnare. Matita e colori diventano, così, un medium più veloce delle emozioni dell’artista.

Dunque, per ricapitolare. Dietro uno stile riuscito c’è sempre una ricerca laboriosa e approfondita che riguarda:

– la realtà anatomica delle cose e la loro possibile deformazione nel disegno.
– quali soluzioni stilistiche di altri artisti si sono prese in prestito e come le si è rielaborate (mescolate) in uno stile personale per dire qualcosa di nuovo.

Voi cosa ne pensate?
Anna Castagnoli

P.s
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Se volete approfondire il tema dello stile: qui e qui.
Qui trovate una postfazione a questo post.

25 Risposte per “Le influenze stilistiche: come prendere segni di altri?”

  1. 1 Barbara
    8 Novembre, 2017 at 9:39

    Grazie Anna, i tuoi approfondimenti sono sempre così intensi e vissuti, si percepisce da come scrivi! Grazie per mettere a disposizione tutto il tuo sentire e il tuo conseguente impegno nell’analisi, con la strssa accuratezza, in ogni argomento che indaghi.

  2. 2 Anna Castagnoli
    8 Novembre, 2017 at 12:32

    Grazie Barbara. Non è stato facile ma è un tema importante.

    Una lettrice del blog, Lisa Pagnutti, sulla pagina Facebook del blog, ha pubblicato questo commento, che mi sembra intelligente:

    “Buongiorno, io sono un’aspirante illustratrice, e vorrei fare un commento “fuori dal coro” a difendere (in parte) coloro che copiano. Io ho uno stile personale e tradizionale, la cosa ha come conseguenza che ai numerosi concorsi di illustrazione cui ho partecipato, non ho ottenuto risultati; ma ciò che mi ha stupita erano i lavori dei vincitori, il cui stile, oltre ad assomigliare tantissimo ad altri famosi e popolari, si somigliavano talmente tra primo, secondo e terzo posto, che avreste potuto dirli fatti dal medesimo autore.
    Dunque la mia conclusione dopo aver visto questo fatto ripetersi in diverse occasioni, è che ci sia una richiesta di mercato, una “moda” dell’illustrazione contemporanea che obblighi in parte i giovani aspiranti a imitare fortemente chi ha già successo.
    Non intendo con questo giustificare tutto, ma far riflettere sul fatto che ci sia una motivazione “a monte” che crea una domanda specifica verso gli illustratori, vincolandoli a determinate scelte.
    Perché alla fine l’editore li ha pubblicati, non li ha criticati.”

  3. 3 Anna Castagnoli
    8 Novembre, 2017 at 12:41

    Concordo la difficoltà sollevata da Lisa.
    Sempre, in ogni epoca storica, c’è stata una o poche correnti stilistiche. Chiamiamole “mode”.
    Un tempo erano geograficamente ben definite: lo stile italiano, lo stile francese, etc. Oggi la globalizzazione ha portato anche la perdita di confini geografici, non si va più per paesi, ma per artisti.
    Lo stile Laura Carlin, lo stile Alemagna, lo stile Anna Laura Cantone, Manon Gauthier, etc.

    Quindi, un giovane illustratore deve fare un salto da equilibrista. Trovare uno stile che sia in linea con le mode del mercato (mode da cui è impossibile affrancarsi, a meno di non inventare qualcosa di completamente nuovo e aprire una strada. Beatrice Alemagna mi ha raccontato che quando aveva presentato i suoi disegni ai primi editori le avevano risposto che non sapeva disegnare! Era stato un editore francese, più all’avanguardia, che l’aveva scoperta e lanciata), e al tempo stesso che sia personale.
    Non è facile!

    Non è neppure facile definire un limite tra ispirazione e plagio.
    Sono discussioni che per forza di cose non possono esaurirsi con una sentenza.

    In questo post, racconto di quando avevamo fatto vincere, a un concorso, Maisie Shearring, un’illustratrice inglese con uno stile davvero similissimo a Laura Carlin.
    Ebbene, ci era sembrato che con quello stile, così simile, lei raccontasse altro.
    Quell'”altro” le è valso un premio di 30.000 dollari.
    Qui racconto quella scelta:
    http://www.lefiguredeilibri.com/2015/04/13/selezionare-lillustratore-vincitore-di-30-000-dollari-alla-mostra-illustratori/

  4. 4 Anna Castagnoli
    8 Novembre, 2017 at 12:43

    Poi c’è anche il diritto di citazione, che può essere trasportato nell’universo dello stile.

  5. 5 Claudia Carbonari
    8 Novembre, 2017 at 19:06

    Ciao Anna, un tema molto interessante quanto complesso. Si può parlare di stile personale ma anche di corrente, come da sempre ce ne sono nella storia dell’arte. Io, per esempio, inserirei lo stile di Laura Carlin all’interno di una corrente pittorica che oggi è molto di moda anche aldilà dell’illustrazione per bambini. Forse c’è una certa uniformità anche in alcune scuole di grafica ed illustrazione che poi va a determinare un certo stile negli alunni (a questo si aggiungono le richieste del mercato che spesso tendono ad appiattire). Comunque è un argomento che sarebbe bello approfondire, di sicuro utilissimo per chi si avvicini al mondo dell’illustrazione, che tra tanti riferimenti fa fatica a trovare la sua voce o che al contrario si ossessiona con l’idea di essere originale. Mi sono dilungata troppo :-)
    Volevo solo suggerirti questo libro sul tema, anche se in riferimento all’arte -un po’ difficile da trovare – Copier Creér, edizioni Louvre 2006. Interessantissimo!
    Un abbraccio!

  6. 6 Caterina
    9 Novembre, 2017 at 11:09

    “Scrivo, scrivo più che posso per sfuggire all’altrui passione per l’uniformità. Tutti, qui a Parigi, credono di avere una verità in tasca, pronta da esportare come fosse una camicia, o una locomotiva”.
    Leggevo queste righe oggi in tram dopo essermi imbattuta nel social-dibattito sullo stile e l’uniformità. Come spesso mi accade i libri sono rivelatori e quando meno te lo aspetti suggeriscono ottime risposte.
    Se penso poi che queste righe le scriveva sul suo diario la cognata di Van Gogh nel 1890 mi sembra ancora più incredibile quanto ci troviamo a distanza di anni ad affrontare dinamiche simili…

    L’uniformità, la globalizzazione, la moda spaventa ed attrae. Chi è alla ricerca di se stesso o del proprio stile ingenuamente e immaturamente copia per imparare ma soprattutto, io credo, per non sentirsi solo (e perciò unico e diverso).
    Ci vuole tempo -tanto tempo- e coraggio per trovare sé e il proprio stile (ammesso che nella vita se ne debba trovare “uno”).

  7. 7 Anna Castagnoli
    9 Novembre, 2017 at 11:39

    Bello Caterina. Grazie.
    Van Gogh è stato un pioniere, ne ha pagato la solitudine con la vita. Ci ha regalato qualcosa che viene dagli abissi dell’anima. Un coraggio inaudito.

  8. 8 lucia
    9 Novembre, 2017 at 12:43

    Interessante post.. ho sempre creduto che uno stile sia una gabbia ma questo è un mio pensiero maldigerito da molti.
    Comunque, a volte, ho notato che certi editori chiedono all’illustratore :- mi piacerebbe uno stile simile a..- e ti sottopongono alcuni esempi..e qui scattano mille pensieri

  9. 9 Anna Castagnoli
    9 Novembre, 2017 at 13:21

    Sì Lucia, sono d’accordo, la responsabilità degli editori che a basso costo vogliono lo stile di un illustratore troppo caro può essere uno dei motivi di questa omologazione sempre più diffusa a livello planetario. Una grossa fetta di responsabilità ce l’hanno anche i Social. La velocità con cui si diffondono e pubblicano immagini.

    Per lo stile:
    io non credo si possa prescindere da uno stile. Lo stile è il modo in cui un’idea si fa segno.
    È un modo di raccontare qualcosa in un certo modo.
    Kafka ha uno stile diverso da Tolstoy, potrebbero raccontare la stessa cosa in due modi diversi e sarebbero due storie diverse.
    Questa è la mia idea dello stile.
    È sempre funzionale a cosa si vuole trasmettere, e lo veicola.

  10. 10 lucia
    9 Novembre, 2017 at 13:46

    lo so come la pensi::))
    ultimamente ho visto una mostra di Lorenzo Mattotti a Bologna.. lui mi piace con la sua lbertà stilistica, ma sempre qualità ottima

  11. 11 Anna Castagnoli
    9 Novembre, 2017 at 14:01

    Sì, Mattotti è veramente versatile ma sempre eccezionale.
    Un artista.

  12. 12 lucia
    9 Novembre, 2017 at 16:35

    comunque sia, tornando al tema della discussione, devo dire che Beatrice Alemagna, quando crea le visioni dei palazzi delle città tutte sottilmente storte e volutamente inconsistenti, ai tetti con abbaini persi tra le tegole mi hanno sempre rimandato allo stile e alle città di Richard Scarry..anche in molte soluzioni degli interni e arredi,di porte e lavandini..

  13. 13 silvia
    9 Novembre, 2017 at 18:00

    Come già detto, l’oggetto della discussione è interessantissimo ma al contempo spinosissimo.
    Applicare un metodo semiologico abbastanza efficace che si basa sulla rilevazione delle assonanze tra gli stili dei diversi illustratori senza conoscere approfonditamente i “substrati” della storia dell’arte e dell’illustrazione internazionale, rischia di limitare l’analisi e di offrire conclusioni parziali o inesatte. Per questa ragione trovo sbagliato esporre al pubblico ludibrio nomi di illustratori che avrebbero copiato lo stile di altri colleghi, perché magari le cose stanno diversamente; magari l’illustratore che avrebbe apparentemente subito la “scopiazzatura” e quello che l’avrebbe compiuta, in realtà hanno background stilistici comuni o hanno subito le fascinazioni di artisti o correnti, ai più, semi-sconosciuti.
    Per questa ragione trovo che alcuni illustratori citati, (…), siano stati tirati in ballo a sproposito. Avere matrici stilistiche comuni non significa necessariamente che qualcuno abbia copiato da qualcun altro…

  14. 14 Chiara Rossi
    10 Novembre, 2017 at 22:08

    Mi sembra che ci sia una gran confusione riguardo l’argomento di questa discussione. Su una cosa mi trovo d’accordo: c’è un grande problema nella critica contemporanea. Ma il problema, a mio avviso, non è che non si possa criticare, nel senso di fare una critica precisa e adeguatamente argomentata. Il problema è saper fare una critica. Cosa vuol dire copiare? La Treccani dice che significa “trascrivere fedelmente”, “eseguire una copia in modo meccanico”, “ripetere o imitare passivamente”. Quindi, come copiare uno stile? Già questo è una questione assurda, che confonde i termini dall’inizio. Sarebbe interessante, invece, iniziare una riflessione sui termini “copiare” e “stile”. Soprattutto vista l’insistenza dell’utilizzo di questa parola nel tuo discorso.

  15. 15 Anna Castagnoli
    10 Novembre, 2017 at 23:21

    Sono consapevole di aver creato una certa confusione modificando le immagini del post e l’incipt.
    Però sono contenta se mi fa questa domanda, Chiara, perché centra esattamente il punto che volevo analizzare. Si può copiare lo stile di qualcuno?
    Lo stile è un cocktail di elementi che trovano espressione in una forma ben precisa, quindi copiabile. Un certo modo di usare la linea, il colore, il tipo di deformazione anatomica e prospettica, le soluzioni grafiche per fare occhi, nasi, bocche, etc. Un illustratore X è sempre ben cosciente di quali e quanti elementi sta usando per un certo stile, perché con lo stesso identico cocktail deve illustrare non una ma 24 o 36 tavole. Le tavole avranno scene e temi diversi, ma lo stesso stile (così vuole il linguaggio dell’album illustrato). Se un secondo illustratore Y usasse lo stesso identico cocktail del primo illustratore X per fare un altro libro, si potrebbe parlare di plagio. Quindi sì, lo stile si può copiare e questo porta all’illustratore copiato una perdita di mercato e di prestigio. Che originalità avrà a raccontare una storia con il suo stile se quello stile diventa usato da tanti, si vede dappertutto? Che altri strumenti ha un illustratore per raccontare qualcosa in un certo modo se non la paletta di segni di uno stile?
    Proviamo a fare un libro con lo stile 100% Oliver Jeffers oppure 100% Jon Klassen o un film di animazione con lo stile Rebecca Dautremer e vediamo se ci scrivono o no i loro avvocati?
    Lo stile è la forma in cui si esprime tutta l’originalità e l’espressività di un artista. Non c’è un’altra forma. Non è la scena rappresentata che conta, ma “come” la si rappresenta.

    Quello che invece è lecito, ed è quello che cercavo di dire nel post, è che di uno stile coniato da un certo illustratore si prendano alcuni elementi, per rimescolarli e rielaborarli con altri e creare uno stile diverso. La domanda che è restata aperta e che non credo possa trovare risposta definitiva è Quanti elementi si possono prendere, fino a che punto, senza che diventi mera copia di un altro stile?

  16. 16 Chiara Rossi
    10 Novembre, 2017 at 23:49

    Lo stile, certo, presenta caratteri formali e espressivi comuni, ma soprattutto rispecchia un’epoca, una filosofia e un pensiero: una certa visione del mondo. Non si copia uno stile, perchè lo stile è appunto il risultato di un pensiero. Quello di cui lei sta parlando, è la maniera. Nell’illustrazione contemporanea c’è molto manierismo, questo sì. A questo mi riferivo parlando della necessità di una critica precisa, nel commento precedente.

  17. 17 Anna Castagnoli
    11 Novembre, 2017 at 0:25

    Stile è il termine corretto per quella che lei chiama “maniera”. Può riferirsi allo stile di un singolo artista o a una corrente artistica.
    “Lo stile cubista e lo stile di Picasso”.
    Il manierismo si riferisce alla copia di modelli classici, academici, non mi sembra troppo pertinente nel nostro caso.

    Treccani:
    STILE
    “Con riferimento a singoli compositori, esecutori e direttori d’orchestra: lo s. di Vivaldi, di Mozart, di Paganini; lo s. di Toscanini, di von Karajan. d. Per estens., nelle arti figurative (con uso che risale al sec. 19°), l’insieme dei caratteri di un artista o di una scuola…”.

    Grazie per avermi aiutata a precisare.

  18. 18 Chiara Rossi
    11 Novembre, 2017 at 1:26

    Stile e maniera hanno sfumature diverse, io le ho parlato di stile come risultato di una visione del mondo e pensiero. Per concludere il mio commento: manierismo non è un termine limitatamente usato alla copia dei classici, qualsiasi artista (e qualsiasi illustratore, anche se non amo questa distinzione) può cadere nel manierismo, in qualsiasi epoca.

  19. 19 lucia
    11 Novembre, 2017 at 14:20

    Se qualcuno copia da un altro ci sono varie reazioni, come già detto:
    a chi non interessa, a chi fa quasi piacere e chi va per vie legali.
    Certo per chi vuole crearsi uno stile è fatica e non va gìù vedersi scopiazzato, ma non credo che questo lo danneggi più di tanto. Perchè incattivirsi?Se sei tranquillo con il tuo creare vai avanti e sarai comunque il più autentico ed energico nei progetti futuri. Anche se uno ti copia una manina o un albero, pazienza!

  20. 20 Elis
    11 Novembre, 2017 at 22:41

    Bonjour,

    j’écrirai en français pour plus de clarté. Je suis d’accord avec la plupart des propos de ce post. je suis moi-même illustratrice et m’interroge régulièrement sur les influences sur notre créativité (parfois inconscientes) qui naissent de notre rapport au réel et aussi aux images et autres stimuli qui nous entourent. De manière à en être consciente et à ne pas copier “bêtement” les choses qui me plaisent. J’aime bien penser que le réel et ses influences s’infusent en moi et qu’ensuite elles réapparaissent transformées et digérées dans mon travail. J’ai vu, moi aussi, des personnes moins à l’aise avec leur créativité recopier à l’identique certains détails d’un artiste ou illustrateur dans leur travail en ayant l’oeuvre sous les yeux (comme le font les enfants ou jeunes étudiants dans certaines écoles). Là je trouve qu’il faut faire attention car on ne laisse pas l’organique et l’inconscient opérer et on utilise une version simplifiée, sans fond et, effectivement, on ne respecte pas le droit de propriété intellectuelle de l’auteur, je suis d’accord.

    Toutefois je tiens à mettre en garde contre une forme de paranoïa qui a débuté avec les débats lancé sur ce blog autour du lion de Beatrice Alemagna. Paranoïa à laquelle j’ai moi-même assisté lors d’un Salon du livre de Montreuil. Un éditeur reconnu, le plus sérieusement du monde, a dit à une collègue illustratrice “Attention, c’est du Beatrice Alemagna”. Or, le travail de cette amie s’il utilisait un mélange assez contemporain de collage et crayons de couleurs n’était en rien semblable à l’identique. C’est alors que mon oeil exercé s’est posé sur un livre, paru chez ce même éditeur, dans le style exact de Loren Capelli sauf que ce n’était pas d’elle. Je dois dire que j’ai été choquée par l’ambiguïté de ces propos et leur manque de cohérence alors qu’il ne pouvait pas ignorer la similitude de ce livre paru chez lui avec le travail de Loren Capelli.

    Je pense donc que les éditeurs sont partie prenante d’une certaine dérive, de la même manière que certaines écoles d’illustration ou cours privés (Anna parlait de Mélanie Rutten dont le style initial a complètement changé au contact de Kitty Crowther qui a donc fait école, intentionnellement mais c’est le même principe).

    Ainsi, Beatrice Alemagna a créé une école malgré elle. Je peux comprendre qu’elle soit blessée par le grand nombre d’illustrateurs qui s’inspirent de son travail. Elle pourrait aussi en être flattée ou en tous cas prendre de la distance avec cela comme tant d’artiste chefs de file avant elle.

    Si le débat est sans doute nécessaire, pour moi il est important d’éviter d’attaquer des illustrateurs débutants. Si l’on cite des exemples, il serait bon de rester le plus possible objectif afin que le débat soit constructif et pas punitif. Eviter de s’en pendre aux plus faibles pour protéger les plus puissants. Soulever le débat oui, mais d’une manière objective (“pour la beauté de l’art”) et pas d’une manière partisane.

  21. 21 Anna Castagnoli
    12 Novembre, 2017 at 15:50

    Bonjour Elis, je te remercie pour ton analyse, très claire.
    Je suis d’accord avec tous tes points.
    Je sais que je n’aurai pas du illustrer le post avec des illustrations trop ressemblant à, non pas pourquoi les auteurs étaient jeunes ou pas jeunes, mais parce que les illustrations étaient hors du livre, décontextualisé, ils auraient eu besoin d’une analyse plus en profondeur. (C’est pour cela que je les ai effacé).
    Dénoncer n’étaient pas mon but, je voulais réfléchir sur comment élaborer assez un style pour ne pas blesser son auteur.
    Tu cite le Lion de Vidali : le débat qui avait suscité cet image traduit bien la difficulté, au sain d’une communauté, de déterminer ou est la limite entre inspiration légitime et copie.
    Avec ce post je ne voulais pas établir ce limite, mais mettre le doigt sur une tendance, toujours plus répandue, d’imitation légitime, et ouvrir le débat.
    Peut-être qu’il faut se rendre à l’évidence que quelque chose à changé. Il y a 10 ans l’imitation était mal vue et tout de suite dénoncé (voir Lion Alemagna), aujourd’hui non, elle est défendue.
    Un style crée par son auteur avec une recherche de fond, en profondeur (j’aime bien ta définition), devient aussi vite courant. Et là, tout le monde se sent légitimé à imiter.

    On voit la facilité avec laquelle – sur Pinterest, Facebook, etc – les gens partagent des images d’auteur, ou les utilisent comme avatar, sans même se soucier de mettre le nom de l’auteur.
    Les images deviennent patrimoine commun, donc pourquoi pas les copier aussi ? Qui est-t-il cet auteur égoïste qui se plaint et souffre de l’imitation ? Pourquoi n’est t’il pas fier ? (voir le commentaire au-dessus du tien).
    Oui, pourquoi pas, nous pouvons aussi revenir à une idée d’illustration pre-imprimerie, moins lié à la firme d’un auteur. Il n’y a pas des jugement de valeur de ma part. Mais pour la configuration actuelle du droit d’auteur, cette liberté d’imitation porte encore une perte économique aux auteurs, donc oui, il y a un problème.
    Il ne faut pas toucher aux jeunes illustrateurs, qui ont le droit de chercher leur style, d’accord, mais cette recherche doit être privé ou publié tout de suite sue les social-network ?
    Et sont souvent les illustrateurs qui commencent, avec la complicité des éditeurs, de leur part intéressé à avoir un certain style à la mode à un prix moins chère, qui manquent d’une réflexion plus poussé, plus étique, sur ce point. Nous pouvons voir ce phénomène surtout dans l’illustration de presse (le style Gottardo, Ponzi, Zagnoli, etc).
    Peut-être que la diffusion sur internet des images à crée une sorte de mineure sensibilité a ce que c’est un originel ?
    Dans ce cas, comment changer le statut juridique qui permet à un auteur de gagner plus s’il est plus bon que les autres (ou de se fair, tout bêtement, payer)?

    Merci Elis pour ta belle réflexion.

  22. 22 Elis
    12 Novembre, 2017 at 16:51

    Merci Anna pour ta réponse.

    Il est fondamental que le droit d’auteur soit préservé. Il faut commencer à enseigner cela dès l’école maternelle aux enfants que recopier à l’identique n’est en rien créer. Je vois souvent dans les écoles dans lesquelles j’interviens des travaux tous semblables ou qui imitent le travail d’un artiste reconnu ou d’un illustrateur. C’est souvent de l’ignorance de la part des enseignants (eux même des enfants dont la créativité a été brimée) qui oublient ou méconnaissent la nécessité, par la suite, de se réapproprier l’exercice de la copie exacte dans un second temps, en se détachant de l’original, ceci dans la réalisation d’un travail plus libre qui réinvestit les enjeux esthétiques présents dans le premier exercice de copie à l’identique.

    Très peu utilisent la copie dans ce sens et c’est bien dommage. C’est peut-être à cet endroit là qu’il faut être vigilant : des prémisses de la créativité jusqu’à un apprentissage plus spécialisé. Redonner une vraie place à la créativité et mettre en garde contre les dérives simplificatrices ou les béquilles stylistiques.

    J’ai moi-même un parcours atypique et j’ai dû dans un temps record me “trouver” un style. ce que je n’ai pas fait, j’ai cherché, erré, proposé des approches stylistiques variables en fonction de chaque projet mais le point commun de toutes ces approches c’était moi-même (avec ce que j’aime imaginer comme étant un style dans le non style par la récurrence de certaines couleurs, de certains éléments narratif et formels etc), un style “fantasque” qui correspond d’ailleurs assez à ma personnalité.

    C’est là que réside la clef d’un apprentissage réussi, rester au centre de son apprentissage et surtout ne pas copier, ne pas garder près de soi ses influences, essayer le plus possibles de les aimer, de les vénérer mais surtout de les mettre à distance. Plus on aime et plus on devrait prendre ses distances dans l’art au moment de créer. C’est un peu cette idée du danseur qui a un miroir devant lui : ou il passe son temps à danser en se regardant et il est extérieur à lui-même et à son mouvement, où il met un rideau devant le miroir, ferme les yeux et se connecte à son moi intérieur et, avec tout ce qui l’a influencé et tout ce qu’il a vécu il danse une danse vivante qui part de son centre névralgique et pas du centre de quelqu’un d’autre (un reflet idéalisé ou autre illustrateur brillant -pour ce qui nous occupe ici-).

    J’ai aussi mis beaucoup de temps à faire une synthèse de ce que je suis et je n’y suis sans doute pas encore arrivée d’ailleurs. Ce moi créatif en cours d’élaboration est un moi précieux, un moi intime et c’est vrai que je peux comprendre que si l’on est copié d’une manière tout à fait basique alors c’est dommage car c’est une véritable dépossession que l’on peut ressentir. Mais s’il s’agit de petits éléments ponctuels retravaillés et parfois synthétisés “à la manière de” alors cela me gène moins. Si c’est une copie intégrale d’éléments précis là c’est dommage car, encore une fois, c’est la créativité de tout un chacun qui est bafouée, celle de l’auteur d’origine comme celle du copieur.

    Je crois que c’est l’intention de la personne qui compte. Si l’inspiration est juste et à la bonne place dans un travail construit, comme tu le disais Anna, alors cela ne pose pas de problème au final.

  23. 23 Gloria
    27 Novembre, 2017 at 16:40

    Ciao Anna. Sono anni che seguo il tuo blog ma è la prima volta che commento. Per prima cosa ti faccio i complimenti per questo articolo molto utile e interessante. Sono una giovane aspirante illustratrice, ho frequentato una scuola di illustrazione ma sono ancora parecchio confusa,per questo i tuoi articoli sono molto utili e incoraggianti. Però c’è qualcosa che vorrei chiederti. Vorrei creare dei progetti personali illustrando i libri che leggo, ma non ho idea di quali siano quelli “illustrabili”,liberi dal diritto d’autore. Forse è una domanda banale, ma non credo sia stata ancora trattata nel tuo blog… Aiuto!

  24. 24 Anna Castagnoli
    27 Novembre, 2017 at 18:18

    Gloria cara, farò un post anche su questo tema allora.
    Non tutte le nazioni hanno le stesse regole.
    In Italia si possono illustrare testi di autori morti da più di 70 anni.
    Ma in alcuni casi ci sono gli eredi e bisogna chiedere loro il permesso.
    Diciamo che se illustri le fiabe dei Grimm o di Perrault vai sul sicuro :)
    Puoi anche riscriverle e modificarle, se vuoi.
    Ma sta attenta, anche le traduzioni sono coperte dal diritto d’autore. O le rielabori, o le ritraduci.
    Se è per presentare il progetto a un editore, non ti preoccuare troppo della traduzione, ci penserà poi l’editore.
    In bocca al lupo.

  25. 25 Gloria
    28 Novembre, 2017 at 18:57

    Anna, sarebbe davvero fantastico se decidessi di approfondire l’argomento dei diritti d’autore in un post, intanto mille grazie anche solo per l’esauriente risposta al mio commento, davvero gentilissima!