Il reale si fa astratto: Parte 3. I vostri esercizi (seconda parte)

15 Ottobre, 2013

Ecco la seconda parte dei lavori arrivati. Farò qualche considerazione nei commenti e sto preparandovi un post, datemi ancora qualche ora. Vi lascio con quest’altra domanda, di Nicky: qual è l’ultimo grado di riconoscibilità di un’immagine?

Paolo Lucchini Addioni (Ferrara). Esercizio 2
Collage di carte colorate all’acquarello.

Anna Martinucci. (102 anni e mezzo). Esercizio 1

Anna Martinucci. Esercizio 2

Silvia Monteni. Esercizo 1

Silvia Monteni. Esercizio 2

 

Francesca Massai. Esercizio 1
Titolo: Sugli sci

Francesca Massai. Esercizio 1. Bis
Titolo: Buonanotte piccolina

 

Fran. (57 anni) Insegnante, bibliotecaria
Titolo: Piscina ( Piscina… linea più lunga acqua, quella nera il trampolino , quella rosa il tuffatore).
(Ndr: la qualità dell’immagine è dovuta ad una riproduzione fotografica di questa qualità)

Matilde (17 anni). Esercizio 1
Commento: Dovrebbe essere qualcosa che sta per cadere (o è appena spuntato) in un campo.

Silvye Garrone (anni 42). Esercizio 1
Commento: Il primo esercizio è molto difficile e l’ho fatto diverse volte, ogni volta mi infastidiva quello che avevo fatto, avevo in mente una sensazione e il risultato era l’opposto, poi ho capito che mi dava fastidio il fatto che fossero 3 colori diversi ed il fatto che le linee si toccassero. Alla fine il risultato che più mi rasserenava è questo.

Silvye (nei commenti Sylvie) Garrone. Esercizio 2
Commento: Il secondo esercizio, invece, come ti ho scritto, non mi è piaciuto il risultato a matita, l’ho fatto in vettoriale ma sarebbe stato altrettanto simpatico forse con un collage di cartoncini? Se non mi fossi ridotta come sempre a fare le cose all’ultimo momento forse lo avrei fatto così.
Questa è la mia versione del Lago del Brugneto.

Castino Berardi (53 anni). Esercizio 1
Titolo: Il funambulo

Castino Berardi (53 anni). Esercizio 2
Titolo: Correnti

Aras. (25 anni). Esercizio 2

Aras. Esercizio 2

Annie. (37 anni). Esercizio 1
Titolo: L’arrivo

Annie. Esercizio 2
Titolo: Trattore tra le vigne

Manuela (età 43 anni). Esercizio 1

Manuela. Esercizio 2

Nicoletta Petruzza (29 anni). Esercizio 1

Nicoletta Petruzza. Esercizio 2

Ciao Anna, ho cercato il superlativo assoluto di “difficile” ma non l’ho trovato! Caspita, per me che quando disegno un albero se non ci faccio tutte le foglie vado in panico, è stata un’impresa cercare di astrarre qualcosa.. e non credo nemmeno di esserci riuscita! Mentre facevo l’esercizio numero 2  mi veniva da chiedermi: qual è l’ultimo grado di riconoscibilità di un’immagine? Credo che esista una linea di confine precisa tra il reale e l’astratto. Ho scelto un paesaggio perché mi sembrava più “semplice”, ma ho fatto altre prove di cui una prendendo un’immagine di una lampada, ho usato il collage, ma nel mio lavoro la lampada era riconoscibilissima come lampada, era un disegno “grafico” ma non-astratto. Non aveva oltrepassato il confine.

Mentre cercavo la carta per fare il collage, mi sono imbattuta in una busta da lettera: l’ho guardata e ci ho visto il mio paesaggio coi monti… in quel momento mi sono resa conto che il mio cervello  stava cercando la “sintesi” e l’ha riconosciuta in quelle linee.

32 Risposte per “Il reale si fa astratto: Parte 3. I vostri esercizi (seconda parte)”

  1. 1 paolo
    15 Ottobre, 2013 at 6:52

    A proposito di riconoscibilità dell’immagine:
    1) il disegno di Manuela – Esercizio 2, va girato di 90° in senso orario. E questo la dice lunga sulla riconoscibilità.
    2) Una riflessione che facevo, insieme a Giovanna, sulle immagini dell’esercizio 2 di ieri, e che vale, mi sembra, anche per quelle di oggi è: ma se leviamo la fotografia di riferimento, che cosa rimane? Nel caso del mio omonimo, di Cristina Berardi e della busta di Nicky e della bicicletta di Manuela, sostanzialmente tutto. Nel caso della nostra arzillissima centoduenne, se togli il suo coetaneo Leo Gasperl e il fanatismo sciistico-futurista rimangono pochi elementi grafici accostati, ai quali è possibile attribuire arbitrariamente una molteplicità di sensi (a proposito, Anna M: la foto è bellissima e probabilmente scattata a Bardoney). E questo vale anche per molti altri.
    3) La rilevanza della questione della riconoscibilità non è indipendente dal contesto. In questo caso, l’esercizio 1 chiedeva di «ESPRIMERE qualcosa!» usando solo tre linee. Per evocare una sensazione o un sentimento non è necessaria. Un aiuto, eventualmente, arriva dal titolo, che ci punta nella direzione che il disegnante vuole imprimere ai nostri pensieri (vedi “Con tre sole linee…”, “Neve” “Piscina”). Ma il secondo esercizio chiedeva di fare un disegno dal vero e di mandare la foto di quanto riprodotto.E qui torniamo alla domanda 2, che acquisisce un senso assai meno ozioso.
    4) Sono sicuro che la riconoscibilità dipenda dall’abilità del disegnante: probabilmente qualcuno è in grado di rendere riconoscibile qualsiasi cosa usando una sola linea e manovrando con grande perizia mano e strumento (pressione e velocità, fra l’altro) e scegliendo il colore e il modo di stenderlo (pennello carico/pennello scarico, per esempio). In questo, secondo me, il digitale non aiuta perché sottrae, appunto, questo elemento intuitivo (ma questa è un’opinione personale).

  2. 2 Nicky
    15 Ottobre, 2013 at 7:22

    Pensando alla “riconoscibilità” ora mi è venuto in mente quando Anna, durante il suo corso sullo stile lo scorso anno, ci ha mostrato la serie di disegni di Picasso sul toro. Lì c’era il tentativo di arrivare all’ultimo grado di riconoscibilità di un toro. E ci è arrivato. L’ultimo disegno della serie è un toro, ed è fatto con una linea sola. E’ astratto, ma non “totalmente”. Non so come dire… Esiste (esisterebbe) un passo successivo, oltre il quale il toro è totalmente astratto, e io posso vederci un toro.. e molte altre cose. Esattamente come nell’esercizio di 2 di Anna M. (levando la foto) io posso vederci degli sci, ma anche “altre” cose. Quello è astratto, quello ha superato il confine.
    Non so se mi sono spiegata meglio.. (mi son appena alzata!).

  3. 3 Angela
    15 Ottobre, 2013 at 7:50

    ciao, non ho visto quello che ti ho inviato io, potresti dirmi cosa ho sbagliato? grazie!

  4. 4 fran
    15 Ottobre, 2013 at 9:29

    a parte il mio ci sono cose bellissime e geniali.
    capisco che illustratori non ci si inventa all’improvviso…

  5. 5 Gioia
    15 Ottobre, 2013 at 9:31

    L’ultimo grado di riconoscibilità di un soggetto è il livello ultimo di sintesi in cui ancora si può percepire una forma non solo attraverso elementi visibili ma anche con il movimento e la tensione che esso genera nello spazio in cui si trova. Quindi tutto,la posizione, l’inclinazione, e la dimensione può contribuire a rendere ancora riconducibile al soggetto di partenza. Ma dove si raggiunge questo limite estremo già siamo sul confine dell’altro emisfero, quello dell’immaginazione, dove si vede altro.
    In questo senso, l’immagine dell’abile sciatore di Anna è inchiodata sul foglio attraverso queste due bande nere, che per posizione e inclinazione sono oggetti in movimento, c’è tutta l’energia della rotazione del gesto atletico. Ma senza vedere la foto avrei potuto vederci anche altro. Sono quindi già un po’ oltre il limite di riconoscibilità.
    Oppure sì la bici di Manuela la cui rotazione cambia totalmente la resa, rendendola più efficace.
    Oppure ancora la piscina di Fran, bellissima, in cui però non torna a mio avviso la posizione del trampolino che a quel punto del tuffo, dovrebbe esser schizzato verso su o in posizione orizzontale.
    Bellissima la busta che contiene il paesaggio di Nicoletta, qui forse nella ricerca di sintesi si poteva ancora fare un passetto avanti per esempio togliendo l’elemento colore…
    Poi, come Munari insegna, è una questione di conoscenza, di osservazione e memorizzazione quella che consente ad ogni individuo in modo differente di fare relazioni e quindi analizzare, interpretare e infine creare.

  6. 6 fran
    15 Ottobre, 2013 at 9:39

    Gaia! ti giuro che ho pensato a quello che dici a proposito del trampolino…ma l’avevo già disegnato così e mi son detta “figuriamoci se qlc lo nota…” acutissima sei!

  7. 7 fran
    15 Ottobre, 2013 at 9:41

    Gioia, non Gaia, scusa!!!

  8. 8 Nicky
    15 Ottobre, 2013 at 9:52

    Hai ragione Gioia, potevo osare di più…ma sono ancora inchiodata al reale! Il colore gioca un ruolo chiave.. e me n’ero accorta anche nell’altro esercizio che avevamo svolto sul Collage di Sara (?), usare colori che non corrispondono a quelli reali aumenta la capacità di astrazione. Vero!
    E grazie per il tuo esaustivo intervento!!

  9. 9 Gioia
    15 Ottobre, 2013 at 10:14

    Nicky, Fran, non sono io una maestra della sintesi, anzi il mio stile è molto legato al reale, ma proprio per questo trovo molto interessante osservare il lavoro degli altri, di coloro che nel farlo sono maestri, come di chi ci prova, come me.
    Preziosi questi esercizi come fu per il gioco del collage di Sara,
    http://www.lefiguredeilibri.com/2013/02/04/sara/, che ci aiutano a vedere il superfluo e a cercare di eluderlo.

  10. 10 Aras
    15 Ottobre, 2013 at 10:15

    1 esercizio: Y femminile
    2 esercizio: il volo

    Grazie Anna per questi esercizi creativi.
    ne aspetterò altri…

  11. 11 Lisa Massei
    15 Ottobre, 2013 at 10:27

    Ciao a tutti,
    io non sono molto daccordo sul discorso della riconoscibilità. Provo a spiegarmi: per come percepisco io l’astrattismo, la riconoscibilità è relativa anche quando si rifà a qualcosa di concreto (come nel caso del paesaggio). A volte l’approccio astratto può partire da un segno o da un simbolo, o ancora, da un colore. Nell’esercizio dovevamo rifarci ad un paesaggio o ad una composizione, nel vedere da dove siamo partiti si aggancia forse con più forza il concetto di riconoscibilità. Ma se non avessimo visto le foto di partenza? Avremo riconosciuto i paesaggi, o ci avremo visto altre cose? Se un testo supporta le immagini tutto può cambiare di nuovo? Ne troviamo un contesto e siamo meno inclini a interpretare-immaginare?

  12. 12 Anna Castagnoli
    15 Ottobre, 2013 at 10:57

    Per Angela: Angela, credo tu abbia sbagliato nell’inviare la mail, perché non mi è arrivata.Se vuoi rinviarla ti aggiungo.

    Per tutti: sto preparando un post, vi lascio continuare la discussione (così poi vi rubo le migliori riflessioni!).

    Vi lancio ancora questa palla:
    cosa “riconosciamo” quando guardiamo la fotografia di un paesaggio o di un oggetto?

  13. 13 paolo
    15 Ottobre, 2013 at 11:01

    Lisa, io mi sono spesso domandato per quale ragione chi visita una mostra o un museo la prima cosa che fa, davanti a un quadro o altra opera d’arte, è cercare l’etichetta che permetta di contestualizzarla. Anzi, sono abbastanza sicuro che la scelta del titolo sia una parte fondamentale della creazione dell’opera, soprattutto nell’arte astratta e concettuale, perché delimita un campo altrimenti così vasto da lasciare disorientati.
    (Un fenomeno che ho sperimentato recentemente alla mostra “La magnifica ossessione” al Mart di Rovereto provando un certo smarrimento e notandolo di chi veniva proiettato in un mondo artistico in larghissima parte astratto o concettuale privo di etichette, quindi di segnali di indirizzo.)
    Quindi, a mio avviso, la riconoscibilità è un carattere complesso, che non appartiene solo al (di)segno, ma anche ai suoi apparati.
    Infatti, nel punto 4 del mio intervento precedente, avrei dovuto scrivere “anche” dall’abilità del disegnante”.

  14. 14 paolo
    15 Ottobre, 2013 at 11:09

    Anna, sta già tutto nella parola. Ri-conosciamo, cioè ci focalizziamo su quelle caratteristiche del soggetto che già conosciamo e che lo qualificano come tale. Lo facciamo per evitare che il cervello lavori troppo e sia quindi più esposto al rischio di sbagliare. Credo si chiamino, tecnicamente, invarianti percettivi. Filosoficamente potrebbero essere definiti archetipi o elementi archetipici.

  15. 15 Lisa Massei
    15 Ottobre, 2013 at 11:12

    Si, Paolo, una guida è fondamentale per capire l’arte astratta che altrimenti diventa vastissima.
    Con la “palla” di Anna mi viene in mente la psicologia della Gestalt, http://it.wikipedia.org/wiki/Psicologia_della_Gestalte il concetto di figura-sfondo. Senz’altro potrebbe entrarci la percezione visiva, ed anche cose che il nostro cervello ha memorizzato (per es. in un paesaggio forse il campanile è il primo elemento che riconosciamo al volo, e forse è proprio lui che predomina e diventa il protagonista). Per me comunque c’è spesso una anche se piccola variabile soggettiva in quello che percepiamo. Essere guidati ci rassicura, a volte ci limita, a volte ci aiuta a comprendere meglio. :)

  16. 16 Lisa Massei
    15 Ottobre, 2013 at 11:16

    Paolo nella PNL si chiamano “filtri”
    http://www.memorizzare.eu/index.php/2011/10/04/pnl-i-cinque-filtri-base.html

    :)

  17. 17 Anna Castagnoli
    15 Ottobre, 2013 at 11:27

    “Anzi, sono abbastanza sicuro che la scelta del titolo sia una parte fondamentale della creazione dell’opera, soprattutto nell’arte astratta e concettuale, perché delimita un campo altrimenti così vasto da lasciare disorientati.”

    Paolo: io penso che sia come per il libri illustrati senza testo. Chi non li sa leggere pensa che ci sia una pluralità infinita di possibili letture. Non è così e ne avete parlato spesso anche voi (era un articolo di Giovanna, se non ricordo male).
    L’arte astratta non ha una pluralità infinita di interpretazioni, parla un linguaggio non-verbale che è piuttosto preciso per chi ha imparato ad ascoltarlo e parlarlo (o per chi non è difeso da sovrastrutture logiche: come i bambini). Io personalmente sono sempre molto infastidita dai titoli: mi sembrano sottovalutare la mia capacità di lettura dell’immagine astratta. E’ come quando si ascolta un brano di musica classica, se si conosce il linguaggio della musica classica, si capisce (con un organo che non è logico, ma che ha la stessa limidezza del pensiero logico) che cosa il compositore ci sta dicendo. Sarei infastidita se un brano di Benedetto Marcello si intitolasse: “la bellezza struggente dell’addio” invece che semplicemente “adagio”.
    E’ come se ci fosse, nelle forme dell’arte, una struttura soggiacente che parla un linguaggio diverso dal linguaggio logico e/o figurativo: ma è un linguaggio piuttosto esatto (la Gestalt ha provato a studiarne alcuni snodi), non vago.
    Provo a spiegarlo meglio nel post. E comunque lo ha già spiegato meglio di me Ehrenzweig qui:
    http://www.amazon.com/The-Hidden-Order-Art-Imagination/dp/0520038452

  18. 18 Nicky
    15 Ottobre, 2013 at 11:38

    Mhh, questo discorso sulle etichette è interessante. Basta pensare all’effetto assolutamente straniante che hanno nell’arte surrealista. (Vedere una mostra di Magritte è come scendere dalle montagne russe, non capisci più niente!).
    Io guardo il titolo di un’opera per capire cosa l’artista volesse rappresentare. Se avessi davanti una tela con un triangolo verde e il titolo fosse “Il monte”, ci riconoscerei un monte immediatamente. Se il titolo fosse “Il cappello” ci vedrei come prima cosa un cappello. Se fosse ancora “Mia nonna”..beh lì avrei qualche difficoltà ma magari con uno sforzo di immaginazione riuscirei a riconoscere anche sua nonna!
    Avere un riferimento, che sia il titolo o nel nostro caso una foto, può aiutare a restringere il campo… o può allargarlo ulteriormente!
    (Secondo me)

  19. 19 Anna Castagnoli
    15 Ottobre, 2013 at 12:22

    Sì, questo è indubbio, Nicky.
    Il titolo gioca un ruolo di contestualizzazione determinante, soprattutto se vuole espressamente giocare con l’opera (Questa non è una pipa). Ma, ad esempio, ho sempre trovato geniale che Pollock chiamasse le sue opere: Op351, o Op458. Il titolo guida inequivolcabilmente verso una restrizione del campo semantico, ma, nel caso dell’arte astratta, trasporta l’opera verso un campo semantico “verbale” che niente ha a che fare con il linguaggio originale dell’astrattismo.
    Io quando guardo un Rothko sento (capisco) cosa voleva comunicare l’artista su un piano che non è logico o verbale. Se dovessi spiegarvi cosa capisco dovrei usare un linguaggio verbale che tradirebbe (un po’ o molto) quello che ho sentito. Forse sarebbe più facile tradurre in musica un’opera di Rothko o di Pollock, che a parole.
    Infatti l’astrattismo nasce per tradurre, in modo più preciso (non: più libero!) certe forme o intuizioni (o chiamateli come volete: sentimenti) pre-verbali.

    E’ che siamo troppo abituati a pensare che la comprensione sia solo comprensione verbale e/o logica, e che altri tipi di comprensione siano vaghi, o poco strutturati. C’è una sintassi e una gramamtica nell’astratto, proprio come nella musica. Che poi sia archetipica o culturale, non so, ma c’è, ed è eloquente.

  20. 20 Nicky
    15 Ottobre, 2013 at 12:35

    “Infatti l’astrattismo nasce per tradurre, in modo più preciso (non: più libero!) certe forme o intuizioni (o chiamateli come volete: sentimenti) pre-verbali.”

    So che questa cosa è fantastica, ma la mia ignoranza sconfinata mi impedisce di comprenderla pienamente. Attendo con ansia il post :)

  21. 21 Anna Castagnoli
    15 Ottobre, 2013 at 12:50

    Nicky: quando tu mi fai un sorriso dei tuoi, capisco quanto sei bella dentro senza bisogno di parole :)

  22. 22 elillisa
    15 Ottobre, 2013 at 12:55

    @Nicky: “Mia nonna è un triangolo” suona comunque come l’inizio di una storia meravigliosa. Io non avrei paura di andare più a fondo della cosa.

    Anna, la tua ultima riflessione è la versione ordinata, in bella copia e con citazioni pertinenti delle mie caotiche riflessioni di questi giorni a riguardo dell’argomento.
    Anch’io, come Nicky, rimango dunque in attesa del post (in questo caso si tratterà di una necessaria, necessaria a me, spiegazione linguistica ai concetti astratti che mi frullano in testa e a cui non so dare ordine e significato).

  23. 23 Nicky
    15 Ottobre, 2013 at 12:55

    Anna… se dovessi tradurre in linguaggio astratto la mia sensazione attuale allora farei un quadro con due belle palline rosse :)

    Potremmo cominciare una corrispondenza “astratta” un giorno..sarebbe divertente :D

  24. 24 Nicky
    15 Ottobre, 2013 at 13:01

    @Elillisa… ci stavo già pensando al libro con la nonna-triangolo :D

  25. 25 Anna Castagnoli
    15 Ottobre, 2013 at 13:05

    Elilisa mi rassicuri! Perdo il filo anche io e mi ingarbuglio ogni dieci minuti. Mi sembra un tale vespaio di concetti.
    Ma ho molto chiare alcune cose: tipo che ci sono persone che non sanno (o non sono abituate a) leggere in astratto un’immagine. Cioè che non sono abituate ad affidarsi al linguaggio delle forme pure e hanno bisogno di ricondurre le forme a un significato “verbale” (quella cosa lì è una faccia, o una sedia, etc). Lo vedo ai miei corsi. E lo so perché anche io ho fatto un salto, e capito cosa diceva l’arte astratta, solo da adulta. E mi ricordo il prima e il dopo. Cambia proprio il modo di leggere e ascoltare l’immagine.

    Il problema è che il linguaggio delle forme astratte è sempre presente in filigrana sotto l’immagine, anche quando disegniamo un riconoscibilissimo castello, o una nonna con lo chignon.
    Il triangolo dice cose molto diverse da un cerchio, e dove lo metti nella pagina cambia ancora il messaggio.
    Sono sicura che un cerchio è più “nonna” di un triangolo, per giocare con l’esempio di Nicky.

  26. 26 paolo
    15 Ottobre, 2013 at 14:40

    Anna, non mi riferivo genericamente alla pretesa pluralità/infinità delle letture possibili (di un libro senza parole o di un quadro astratto o di un brano musicale), ma alla tua specifica domanda sulla riconoscibilità dell’immagine. In questo ambito (quello della riconoscibilità) sono convinto che il contesto e gli apparati dell’opera siano fondamentali.
    Se, invece, vogliamo parlare di godimento/fruizione dell’opera, sono abbastanza d’accordo con te.

  27. 27 Anna Castagnoli
    15 Ottobre, 2013 at 15:04

    Sì, capisco meglio.
    Però nel caso dell’esercizio uno, l’aggiunta del titolo non era richiesta nel regolamento di Cvach (non significa che non si poteva mettere), e secondo me non a caso. Si doveva esprimere qualcosa con tre linee. E credo si possa esprimere qualcosa di molto preciso con tre linee soltanto.

  28. 28 sabina
    15 Ottobre, 2013 at 16:36

    Anch’io penso che forme e colori possono parlarci a livelli molto profondi.
    Vorrei esemplificare questa sensazione con un’esperienza di qualche anno fa:
    studiavo la vita di Kandinsky sul mio libro di storia dell’arte, e mentre leggevo il testo ero costretta a coprire le immagini delle opere con un foglio perché mi “invadevano”, si muovevano, vibravano, volevano la mia attenzione…erano vive!

    Quelle opere hanno cent’anni, e ancora non le capiamo…
    Io penso che non dobbiamo capirle, ma solo accoglierle e ascoltarle con la nostra parte più primitiva…

  29. 29 Sylvie
    15 Ottobre, 2013 at 19:54

    @anna ti ho scritto nei “commenti Sylvie” nel senso che nei commenti metto solo il nome ma mi chiamo Sylvie sempre, non Silvia :-)
    Ps anche se Silvia mi piace di più :-)

  30. 30 Anna Castagnoli
    15 Ottobre, 2013 at 20:12

    Corretto!

  31. 31 anna m.
    16 Ottobre, 2013 at 1:39

    Caro Paolo,
    se sai anche le coordinate gps del punto in cui Leo Gasperl salta e cosa aveva mangiato prima di affrontare il salto, vinci un premio bello.
    La fotografia non fu scattata da me, ma dal nostro (mio e di Leo) comune amico Carlo Mollino. Sono felice l’abbia apprezzata. Sembra ieri.

    Questa discussione mi piace molto.
    È vero che togliendo la fotografia (giusto per semplificare ho scelto una fotografica con un ‘epitesto’ eloquente che potrebbe, in parte, condizionarne la lettura, ma non ho voluto rinunciarvi) rimangono pochi elementi grafici. È proprio su questa selezione che ho concentrato i miei sforzi. Ho pensato a quali elementi fossero necessari affinché quell’immagine potesse essere ancora letta, e li ho scelti. Certo, manca Leo Gasperl (era molto veloce). Per me non si trattava di trasporre il reale in una sintesi (astratta) esatta. Non credo che rappresentare significhi “solo” riprodurre il mondo. Credo che lo sforzo sia quello di tentare, dopo averlo interrogato, di accrescere le nostre conoscenze sul mondo. Questo non per dire di esserci riuscita, affatto, ma per evidenziare il processo simbolico del gioco. Processo di riunificazione che porta inevitabilmente con sé i segni di quella frattura. Il simbolo si riferisce, cioè, a qualcosa che non viene esaurito in questa operazione di riferimento. Il simbolo rimanda, ‘sta per’; la sua funzione è deittica.

    Le linee di Cvach e degli esercizi 2 sono simboliche proprio perché conservano qualcosa del mondo a cui rimandano, ma allo stesso tempo permettono di conoscere qualcosa in più. Indicano quel mondo con la possibilità (se si è bravi) di andare oltre. Così mi è parso.

    Vorrei complimentarmi con Paolo Lucchini Addioni perché entrambi gli esercizi sono di magistrale fattura.

  32. 32 Cristina
    16 Ottobre, 2013 at 11:07

    “E’ che siamo troppo abituati a pensare che la comprensione sia solo comprensione verbale e/o logica, e che altri tipi di comprensione siano vaghi, o poco strutturati. C’è una sintassi e una gramamtica nell’astratto, proprio come nella musica. Che poi sia archetipica o culturale, non so, ma c’è, ed è eloquente.”

    Ecco, mi sembra molto interessante questo.
    Forse con gli esercizi abbiamo operato più una rappresentazione che una traduzione, in linea generale.
    Nel primo era esplicitamente richiesto. Nel secondo era sottointeso dall’uso della foto? Più che altro, come accennato nei commenti al primo post, bisognerebbe capire se è un discrimine il procedimento con cui ci si arriva. Potrebbe essere grafico=rappresentativo vs. concettuale=traduttore, che però può essere si mescolino, o quanto meno a volte abbiano un punto di sovrapposizione.

    Per quanto riguarda le etichette, i titoli, sono piuttosto d’accordo con Anna.
    Però mi ha fatto sorgere questo pensiero: il mio esercizio 1, che non ha titolo, non è evidentissimo cosa rappresenti (in senso verbale proprio)?

    Adesso vado a leggermi il nuovo post di Anna e vedo dove siete arrivati.
    Resta che mi sembrano esercizi, pratici e mentali, molto interessanti.