A SĂ rmede, dove Giuda ha perso un sandalo e l’anima si è ritrovata

15 Luglio, 2013

Foto e disegno di Anna Martinucci

Siamo abituati dall’interpretazione medioevale della parola greca ànemos (il soffio, il vento) a pensare che l’anima sia qualcosa di candido, etereo e gentile. Basta ascoltare la parola ebraica ruah (il vento, lo spirito) per ritrovarne tutta la forza primigenia:

Come una spinta al continuo spostamento, ruah è il veicolo inafferrabile del nume, il fremito che agita gli animi, lo schianto che rovescia alberi e case, la sventura che muta le sorti (…). Quando si identifica con l’ispirazione ruah riempie le menti, conferendo una lucida comprensione della realtà. (…) – ma può anche essere un timore incontrollabile, un turbamento che rattrista l’animo, un torpore che impedisce d’agire, o persino un istinto alla prostituzione. (…) Ruah Ellhim è inoltre la sostanza delle origini che, all’inizio del Genesi, aleggiava sulla superficie delle acque, la misteriosa essenza di ruah è, in questo caso, un permanere lieve, che pare custodire l’estensione illimitata dell’oceano primordiale. (1)

Sarà che la piana padana che si stende sotto la frazioncina collinare di Rugolo, con tutte quelle lucine accese a sera come lampare, sembra un oceano primordiale, sarà che a Sàrmede deve esserci, come nell’isola di Lost, qualche fenomeno magnetico che fa che il tempo scorra in modo sinistro (uno passa una settimana a Sàrmede, torna a valle e scopre che sono passati cento anni). Sarà che l’aria è buona e la mattina si viene svegliati dal grido del pavone. Saranno le lucciole, la notte. Saranno gli alberi da frutto che ammiccano al passante offrendo il fianco tornito. Sarà che nella pausa pranzo si può stare coi piedi nel fiume a fare a gara a chi sputa più lontano i noccioli di ciliegia. Fatto è che a Sàrmede l’anima si risveglia. E, nonostante i suoi miseri 21 grammi, l’anima non è cosa da prendere alla leggera.

Poi c’è il fatto che qualcuno che prende un trenino o un tornante per arrivare in cima a un colle sperduto tra i colli a fare un corso di illustrazione, o sta cercando qualcosa che ha perso (Miguel Tanco ha soprannominato SĂ rmede con un detto spagnolo: “Il posto dove Giuda ha perso un sandalo”) o ha qualcosa da dire che non gli lasciano dire giĂą a valle. Insomma, ha una buona ragione.
Infatti, a SĂ rmede ci viene (e a volte ci si ferma) quel tipo di gente che nella vita di tutti i giorni, nella vita degli omini che vanno al lavoro lustrati tutti i giorni, non trova requie.


Ci viene chi ha l’anima di traverso che non gli va nĂ© su nĂ© giĂą, con quello sguardo di leprotto spaurito, timoroso che esista una qualche pena capitale per chi ha l’anima di traverso. Lo so, perchĂ© a SĂ rmede ci andai quando avevo 20 anni: per la stessa ragione e con lo stesso sguardo (leggere qui).

A Sarmede come studente, nel 2002, con Marta Farina

Lo sapete vero che l’anima è il bersaglio numero uno, il nemico più acerrimo, il solo centro di tutti i cecchini della società di massa e dei consumi? Che ruah vuole cose che non hanno prezzo, e c’è poco da guadagnarci coi desideri di ruah.
Tornare a Sàrmede dopo 20 anni, tornarci da professore, è una sensazione impagabile. La scusa è stata quella di un corso sullo stile, ma io ci sono tornata perché avevo una cosa da dire, una cosa che ho imparato nel frattempo (20 anni sono tanti):

Quando uno ha l’anima di traverso, deve buttarla fuori, non inghiottirla.

Il disegno è uno degli strumenti migliori per farlo. Lo stile, gli stili, le tecniche, sono rotaie (o scuse) per cacciarla fuori dalla tana. Avevo anche una seconda cosa da dire, ed è questa:

L’anima non è affatto bella.

E’ una cosa maledettamente importante, perché la propaganda della società dei consumi ha fatto di tutto per farci dimenticare che quella cosa tutta storta, tutta buchi, fine come un tessuto liso, impalpabile come dita di vento nell’erba, imprecisa come un errore, incerta come un bambino davanti a due vasi di marmellata, è esattamente la nostra anima.

Diane Lingjaerde
Elisa Galleano
Francesca Alberti

Crediamo di doverla correggere, crediamo che sia sbagliata. Non c’è errore più madornale.
Se siamo attratti dall’arte, dall’illustrazione, se ci infiliamo in un reparto sotterraneo di libri per bambini (vi siete chiesti perchĂ© lo mettono sempre in fondo alle librerie, quasi nascosto?!), se leggiamo un libro, una poesia, il disegno in filigrana di una foglia smangiata da un insetto, non è mai per trovare qualcosa di efficiente, di bello, di funzionante, di perfetto, ma è perchĂ© abbiamo sete di qualcuno che ci dica che il dubbio, la paura, l’incertezza, la fragilitĂ , sono cose nostre, legittime e preziose.
Dove il segno si fa incerto, l’anima respira. Dove un artista ci lascia vedere la sua imperfezione, l’anima si sente a casa.

Diane Lingjaerde
Daniela Benghi
Eugenia Pesenti

La linea, il segno, il colore, devono essere strumenti morbidi e duttili per tradurre tutta la fragilitĂ  dell’anima, o la sua forza. L’anima non è mai politicamente corretta.
Disegnare è quel processo alchemico che trasforma l’anima e le sue contraddizioni in qualcosa di visibile a tutti. Il suo linguaggio, quando trova le parole (il segno), è chiarissimo.

Anna Crema
Debora Farina
Anna Martinucci
Sara Mognol
Mariangela Ballatore
Margherita Giacosa

Abbiamo sperimentato tante tecniche, scoperto come la stessa immagine declinata in stili diversi dia emozioni diverse, abbiamo imparato come ristrutturare una composizione a partire dall’emozione che si vuole trasmettere, abbiamo imparato a sintetizzare, semplificare…

Ilaria Gabrieli

Veronica Meitre

Elena P.

Abbiamo studiato tantissimo e lavorato come matti…

Michela Gastaldi

Ma nessuna delle cose che abbiamo scoperto e studiato avrebbe avuto il minimo effetto sui progressi di ciascuno se dietro la teoria e la tecnica non ci fosse stata l’energia misteriosa dei boschi, le lampare sul mare d’erba, le ciliegie portate alla classe rischiando l’osso del collo, i sorrisi, le sere nel giardino a raccontarsi le storie, la mia fiducia assoluta nel fatto che si può avere fiducia in sĂ© e negli altri (e nelle proprie mani).

Il secondo gruppo, 19 allievi
Il primo gruppo, 23 allievi

Provate a dire ad alta voce: ruah. Ecco, il vostro stile è quella trasparenza impalpabile che traduce il suono della vostra voce quando dite: ruah.
Nel video qui sotto, il brindisi finale del primo corso. A volte ruah è così prezioso che lo si può solo sussurrare.
Un grazie speciale a tutti per esserci stati.
Anna

Se volete leggere la storia di SĂ rmede andate qui e qui.
Sulla mia storia da studente ad insegnante a SĂ rmede: qui.
Per un’idea di quello che si fa in un corso sullo stile: qui.


Natascia Gobbo

Note:
(1) Simboli del pensiero ebraico, Giuli Busi, Einaudi 1999