“Turelì, turelò” di Elzbieta: un romanzo per bambini piccoli. Parte 2 (corretta)

30 Aprile, 2012

Continuo l’analisi di Turelì, Turelò, di Elzbieta, edizioni Ekaré, iniziata in questo post.
Abbiamo lasciato i nostri due strani protagonisti tristi perché l’uccellino, non trovando un giardino per fare il suo nido, è volato via (vi domando di nuovo: perché sono mezzi nudi? Che cosa sono quei cornetti che hanno in testa? Treccine o corna?).
Pieni di buona volontà hanno allora seminato un giardino, aspettato che spuntassero i fiori: ma l’uccellino li sorprende di nuovo: c’è un albero in questo giardino? No. Allora se ne va via di nuovo. Non andare via, uccellino! Gridano i bambini disperati (salto molte illustrazioni così ve le godrete dal vero).

Nei primi due capitoli, era triste non avere il posto giusto da offrire all’uccellino, e sembra ancora più triste che neanche lo sforzo di seminare un grazioso giardino pieno di bei fiori, basti. Non basta. Quello che domanda l’uccellino è di costruire un nido, e questa cosa sembra essere molto seria. Domanda uno sforzo ancora più grande.

Capitolo 4. LILI’ E TOTO’ PIANTANO UN ALBERO.

Salto una tavola dove si vedono i due bambini con paletta e secchiello. Nella seconda pagina del quarto capitolo (che lunga avventura, un nido!) i bambini sono desolati: l’albero ha sete, molta sete, e c’è tanto sole, non piove, come si fa?

E’ allora che ci accorgiamo della presenza silenziosa di una nuvola. C’era fin dalla prima pagina ma non ci eravamo accorti che era una presenza viva, pensavamo fosse un elemento decorativo (i grandi illustratori non mettono decorazioni!). La nuvola era un personaggio chiave del libro, e fino ad ora si era limitata a fare da testimone. I due bambini gli si rivolgono con suppliche. Notate come il registro è tragico, i due bambini sembrano agitati da una danza, supplicano il cielo di piovere. Ecco che si spiega la nudità, l’appartenenza a un mondo primitivo, mitico, dove il tema del mito è l’atto fondante della procreazione. Cosa significa fare un nido? Significa trovare uno spazio interno (quello della cura e della volontà che i protagonisti mettono nel loro desiderio di non fare andare via l’uccellino) ed esterno (di cosa ha bisogno un nido? Di fiori? Di acqua? Di rami? Quanto grandi?)  dove la vita possa nascere.

La nuvola si rifiuta di far piovere. Lilì ora è arrabbiata, Totò anche (ho saltato una pagina dove si vede Totò ripetere la stessa posa di Lilì). E non si scherza con la rabbia…

Lilì e Totò allora gridano alla nuvola: “Se non vuoi ascoltare, se non vuoi venire, ti veniamo a prendere!”. Colpo di scena. Lilì e Totò si lanciano in volo verso la nuvola. Ecco finalmente smascherata la loro natura di dèmoni. Avevamo dei dubbi sulla loro ambigua natura dopo tutti gli indizi che l’autrice ci aveva fornito? Siamo comunque rimasti con la bocca spalancata (pensate all’emozione che deve provare un bambino davanti a questo salto).

Lilì e Totò riportano la nuvola a terra, ma la nuvola si ostina a non dare acqua (salto di nuovo alcune tavole). I due bambini dicono: “Se è così che stanno le cose, allora ti facciamo il solletico!”. Potere catartico del ridere (Bergson). Nel libro “Je voulais une tortue” di Beatrice Alemagna, un altro libro sul tema della crescita e della cura, la tensione drammatica della tartaruga che sta crescendo a dismisura si risolve con una vecchietta che confida alla protagonista che il segreto per fare rimpicciolire le tartarughe è fare loro il solletico. In molte fiabe e racconti è il ridere che dà poteri ai protagonisti, o li rende capaci di volare. Il ridere è l’elemento della leggerezza, indispensabile alla ricetta della vita.
Avevamo parlato molto del significato del comico nel post sullo Schiaccianoci di Hoffmann e in quelli su Pierino Porcospino.

Piove finalmente. La fertilità dell’acqua cade direttamente sull’abbraccio felice dei due protagonisti, quasi che per questo grande esito non ci sia più bisogno dell’elemento simbolico dell’albero. Sono loro ora che sono e saranno capaci di crescere e generare la vita, grazie alla loro perseveranza, ma anche grazie all’affermazione della loro doppia natura di bambini ed esseri magici. Per creare la vita ci vuole un quid di magia, non lo sapevate?
Se tanti libri sul tema della nascita, simili, per semplicità di illustrazioni, target e formato, a questo libro, mi tolgono il fiato per asfissia (oh, che senso di soffocamento, che piattume, che aria stantia, quando SI VUOLE affrontare il tema della nascita di un  fratellino, del cagnolino, della sorellina in un libro illustrato e non si è Erlbruch, o Elzbieta, o qualcuno capace di ricordarsi dell’infinito), questo libro di Elzbieta mi spalanca i polmoni e il cuore.

Ecco, il miracolo si è compiuto, l’uccellino è tornato e per restare. Vi lascio scoprire la bellezza dei capitoli in cui viene costruito il nido, sotto lo sguardo curioso di Lilì e Totò, che non capiscono ancora a cosa serve un nido. Una “uccellina” (lo spagnolo permette la versione femminile) viene e si installa nel nido. Il sesto capitolo si chiude su questa frase:

Quando una “uccellina” si installa nel nido,
per cosa sarà, turelì? Sarà per cosa, turelò?

Alla fine del capitolo l’uccellino chiama Lilì e Totò e annuncia loro: ci sono tre ovetti tutti bianchi, turelì, turelò!

L’ultimo capitolo si intitola LA MERENDA DI LILI’ E TOTO’.
 
Tre uccellini sono nati, e sembra che non sia una cosa così semplice… non fanno che mangiare! L’uccellino è costretto a rubare briciole della merenda di Lilì e Totò per portarla ai suoi piccoli. Mangiano tutto il tempo!
Lasciatemi ancora insistere sulla grandezza di Elzbieta. I pulcini sono nati, un illustratore di media taglia (io di sicuro) si sarebbe accontentato di un finale pieno di fiori e foglie che svolazzano nell’aria di primavera e felici cinguettii. Invece no. La vita è iniziata ed è un problema da gestire. Spaesati, in un primo momento, i nostri due fratellini decidono però di non lasciarsi scoraggiare, e vanno a prendere secchi carichi di semi per invitare tutti a cena.

La penultima pagina riprende il tema del “riderci su”. La voce fuori campo del testo narrante interroga i due protagonisti:

Cosa fanno questi uccellini
la mattina, Lilì?
– Beccano, turelì.
– Cosa fanno questi uccellini a mezzogiorno, Totò?
– Beccano, turelò.
– Beccano, beccano, toc, toc, toc.

Il tono è canzonatorio e dolce insieme: ma tutta questa fatica per questi uccellini? E alla fine cosa fanno questi uccellini di così speciale? Mangiano e mangiano e mangiano, mattina, pomeriggio e sera! Ma l’atmosfera della tavola è gaia, Lilì e Totò hanno deciso di continuare comunque a occuparsi di loro. Intanto, silenziosamente, il ritmo del libro è cambiato. La nuvola immobile presente dalla prima pagina è scomparsa. Se riguardiamo il libro nelle prime pagine, ci rendiamo conto che il tempo era sospeso e immobile: Lilì e Totò abitavano un’epoca mitica, atemporale. Dopo la nascita dei pulcini, il tempo, quello vero, con le sue esigenze e i suoi appetiti (colazione, pranzo, cena) inizia a scorrere.

Ora Lilì e Totò abitano una casa con giardino (bellissima, nell’ultima tavola, la grande chioma dell’albero illuminata dalla luna), sanno che cosa è un giardino (la vita), e quanta fatica costa. Ora può scendere la notte, come su una casa normale. Ora possiamo riposarci col cuore pieno, sapendo che tutto inizierà di nuovo domani, ma non sarà più “lo stesso”.


 

Turelí, Tureló
Elzbieta (testo in spagnolo)
Un capolavoro sul tema della cura e della nascita
8,46 Euro