“Sylvester”, il bambino-pietra (W.Steig).parte III
1 Ottobre, 2008(Torna all’analisi della PARTE I)
(Torna all’analisi della PARTE II)
Nelle puntate precedenti abbiamo visto trasformarsi in pietra il povero Sylvester (Sylvester and the Magic Pebble di William Steig), ora la telecamera si sposta sulla reazione dei genitori alla sua scomparsa. Con le stesse reazioni di due genitori normali il cui figlio non torna a casa, il papà e la mamma di Sylvester passano dalla preoccupazione all’angoscia nello spazio di una notte.
SESTA E SETTIMA TAVOLA
I genitori passano la notte in attesa davanti alla finestra, sperando di vedere tornare Sylvester, poi il mattino (il sole sta appena sorgendo) cominciano le ricerche. Chiedono a tutti i vicini. Nessuno lo ha visto. Decidono di rivolgersi alla polizia.
Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969
Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969
Per sorridere ancora una volta dell’assurdità di certe reazioni della società ai libri per bambini (per farvi un esempio, Where the Wild Things Are aveva rischiato la censura in Francia), Sylvester and the Magic Pebble fu censurato in alcuni stati americani per via della scenetta in cui Steig fa interpretare i poliziotti a due simpatici maialini: la scena fu considerata provocatoria e offensiva. Anche se è vero che i poliziotti nel testo dichiarano seccamente che non possono aiutare i genitori a trovare Sylvester, dubito che insieme ad una buona dose di ironia, Steig avesse segrete mire anarchiche…
OTTAVA E NONA TAVOLA
Tutti i cani di Oatsdale si mettono alla ricerca di Sylvester. Annusano ogni pietra, anche la pietra-Sylvester. Ma una pietra odora solo di pietra e nessun cane lo può riconoscere. Dopo un mese i genitori e gli amici abbandonano le ricerche. In uno stato di desolazione profonda il papà e la mamma provano a riprendere la loro vita normale, ma senza Sylvester, niente è più come prima.
Sylvester and the Magic Pebble di Wiliam Steig, Windmill Books/Simon & Schuster 1969
Chi di noi, quando era bambino, non ha giocato a immaginare cosa succederebbe se fosse scomparso …Qualcuno sentirebbe la mia mancanza? Verrebbero a cercarmi se sparissi? Per quanti giorni? Per quanti mesi? Dopo quanto vi dimenticherete di me? Mai… vero? (Il gioco: “nascondino” incarna bene il piacere di dominare l’ansia di queste fantasie).
A questo punto del libro se io fossi un bambino sarei in uno stato d’ansia fortissima per il povero Sylvester (un bambino ha poca distanza tra sé e le cose che legge) Sylvester sono io che leggo, sono perduto per sempre, per sempre solo, nessuno potrà ritrovarmi.
2 Ottobre, 2008 at 13:25
A proposito dei due porcelli poliziotto: quando abbiamo proposto all’estero i diritti del nostro libro “Velluto. Storia di un ladro” ci è stato fatto notare da un editore che i tratti somatici del ladro Velluto potevano essere interpretati come arabo-mediterranei, la qual cosa rischiava di esporre l’editore a critiche… A volte, è vero, il ‘politicamente corretto’ sfiora livelli di follia. Ma non si tratta solo di questo: è straordinario toccare con mano quanto ogni cultura sia diversa dall’altra, quanto i codici che regolano la comunicazione, e quindi anche le immagini, siano distanti, anche quando ci sembra siano molto simili e vicini.
2 Ottobre, 2008 at 16:32
Immagino che la censura del libro a causa dell’immagine del poliziotto-maiale sia stata dettata appunto da un problema lessicale.
Negli Stati Uniti, ci sono diversi modi per chiamare i poliziotti: “policeman” (neutro); “cop” (colloquiale, tendente al malevolo); e “pig”, cioè maiale.
Il poliziotto è “pig” per il delinquente, il sottoproletario, il negro.
In più, questi poliziotti sono pure inetti.
Non che ne venga fuori una bella immagine, se si ha la coda di paglia.
E poi, non so se l’avete notato, ma i protagonisti, Sylvester e famiglia, sono asini, quindi simbolicamente democratici.
C’è puzza di critica sociale.
Nell’era di Nixon si finiva in prigione anche per meno.
2 Ottobre, 2008 at 17:11
Topi carissimil, i vostri interventi sono sempre geniali.
Io brancolo nei vicoli ombrosi delle mie intuizioni, arrivate voi e accendete la luce. GRAZIE.
Ora caro Paolo mi lancio alla ricerca di vecchi articoli, sperando che qualcuno li abbia digitalizzati, per scoprire se c’era davvero nell’intenzione di Steig una così precisa critica sociale.
2 Ottobre, 2008 at 18:08
Steig è nato a Brooklin e cresciuto nel Bronx (ti ricordi “C’era una volta in America”?). Credo fosse abituato a sentir chiamare i poliziotti “pig”. Da lì a disegnarli maiali, il passo è breve. magari involontario, ma breve
Quanto a sue intenzioni di critica sociale, non so: il mio era un semplice esercizio, probabilmente destinato a crollare davanti a un approccio più professionale.
E poi, anche l’inoffensivo Scarry disegnava poliziotti maiali. Chissà se hanno censurato anche lui?
3 Ottobre, 2008 at 21:13
Questi commenti aprono dei mondi. Cercare di capire cosa ci sia dietro le immagini – o le parole – di una “semplice†storia per bambini/ragazzi è qualcosa di affascinante. Quello che viene in mente a me è Il mago di Oz. Ma dietro la storia che tutti conosciamo c’è, anche e soprattuto, l’espressione del dibattito sull’argento che dominò le elezioni presidenziali del 1896 negli Stati Uniti.
Per il suo creatore, il giornalista Frank L. Baum, era una metafora della situazione economico-politica: quando una forte deflazione arricchì i creditori del Nordest e danneggiò fortemente gli agricoltori degli stati del Sud e dell’Ovest. Sostituire il sistema monetario aureo vigente con uno bimetallico (cioè usare anche l’argento per coniar monete) fu la proposta sostenuta dal neo costituito Partito Populista – è questa la questione che dominò le elezioni- . Oz, che sta per once cioè la misura di conio delle monete, è il paese dove la piccola orfana del Kansas, Dorothy, (che rappresenta “l’every man†ed i valori tradizionali), si ritrova con la casa degli zii ed il suo cane dopo un tornado. Qui incontra tre strani personaggi: lo Spaventapasseri (gli agricoltori), l’Uomo di latta (gli operai dell’industria) e un leone che nasconde astutamente la sua viltà dietro un potente ruggito (William Jenning Bryan, candidato democratico-populista favorevole alla riforma).
Per ottenere ciò che desiderano, (rispettivamente: tornare a casa, un cervello, un cuore ed un po’ di coraggio) si mettono in viaggio, alla volta della città di Oz (Washington), su una strada di mattoni gialli (il sistema aureo) che si rivela pericolosa e ricca d’insidie. Nella città di Smeraldo tutti, abitanti e semplici visitatori, sono costretti a guardare il mondo con occhiali dalle lenti verdi (i dollari) che rendono tutto di quel colore, anche ciò che ha ben altra natura (come a dire: il denaro misura di tutte le cose).
Il “grande e terribile†Oz (William McKinley, il candidato repubblicano) promette di soddisfare le loro aspirazioni in cambio di qualcosa («In questo paese tutti devono pagare per qualunque cosa ricevano da qualcuno», senza scampo dalle fredde leggi che regolano il mercato): l’uccisione della strega dell’ovest (monopolio ferroviario, natura indomita). Compiuta la difficile impresa, la compagnia torna indietro reclamando ciò che le è stato promesso e scopre che il mago è solo un imbroglione, è l’«uomo che fa le ascensioni col pallone quando c’è il circo».
Il ritorno a casa di Dorothy è possibile solo grazie alle sue scarpette d’argento, avute per aver ucciso la strega dell’est (banchieri e capitalisti) che, neanche a dirlo, hanno un potere magico.
E si potrebbe continuare…
Fiaba o allegoria populista, questo è il problema.
Chiedo venia, mi è sfuggita la mano sulla tastiera…
4 Ottobre, 2008 at 9:46
Silvia cara sono in partenza per la Francia e non posso risponderti come vorrei fino a mercoledì. Volevo solo dirti che il tuo commento è interessantissimo! Grazie mille.
4 Ottobre, 2008 at 14:37
Silvia,
su questo argomento ci sono interessanti articoli sul Quarterly Journal of Economics (terzo trimestre 1962). Se ti interessa ti trovo i riferimenti, perché a memoria non li ho.
È interessante notare come le scarpette di Dorothy siano quasi immediatamente diventate rosse, tanto nelle illustrazioni quanto nei film.
Forse anche questo cambio di colore ha un senso politico: negli USA, populismo e socialismo sono andati per mano fino a tutti gli anni ’20.
5 Ottobre, 2008 at 9:26
francia?
non è che sei tra i giurati di Figure Future!?
6 Ottobre, 2008 at 9:58
Errorissimo. Mai fidarsi della momoria.
Infatti, ho sbagliato tutto. Le referenze sono:
Henry M. Littlefield, “The Wizard of Oz: Parable on Populism,” American Quarterly 16 (1964) che trovate online qui http://www.jstor.org/pss/2710826
o qui
http://www.amphigory.com/oz.htm
arricchito di ulteriori link (perché questa interpretazione non è universalmente accettata ed è stata rigettata dallo stesso Littlefield);
Hugh Rockoff, “The ‘Wizard of Oz’ as a Monetary Allegory,” Journal of Political Economy 98 (1990), che potete trovare online qui http://www.jstor.org/pss/2937766
Una sintesi molto svelta della questione si legge in tutte le edizioni (meno quella del 2006), dei Principi di Economia di N. Gregory Mankiw (Zanichelli), nel capitolo sui sistemi monetari.
6 Ottobre, 2008 at 13:52
Grazie a te Anna,
di questa piattaforma di discussione…
Grazie Paolo,
li leggerei volentieri. L’archivio è on-line?
O forse il rosso è un potente catalizzatore di significato (anche a prescindere dallo specifico significato). Leggevo delle ricerche antropologiche di Berlin e Kay: il lessico del colore non si formerebbe in modo arbitrario. La terminologia più semplice distingue solo tra chiarezza e oscurità e tutti i colori verrebbero classificati secondo queste due sole categorie. Quando il linguaggio contiene un’altra parola, questa è sempre rosso!
Comunque non avevo prestato attenzione a questo dettaglio.
6 Ottobre, 2008 at 18:05
I riferimenti alla questione del Mago di Oz sono:
http://www.jstor.org/pss/2710826 (Littlefield, 1964)
http://www.jstor.org/pss/2937766 (Rockoff, 1990)
L’articolo di Littlefield si legge anche su
http://www.amphigory.com/oz.htm (con alcuni link ad altra documentazione)
Una sintesi della questione Oz/metafora monetaria si legge più facilmente in tutte le edizioni italiane (meno l’ultima del 2006) di N. Gregory Mankiw, Principi di Economia. Bologna: Zanichelli
ps:Dimenticavo.
l’articolo di Rockoff si legge anche qui
cactus.dixie.edu/green/B_Readings/Hugh%20Rockoff%20%20Wizard%20of%20Oz.pdf